Nessuno ci conosce, questo è più grande problema

Nessuno ci conosce, questo è più grande problema

Nessuno ci conosce, questo è più grande problema

16 Giugno 2021

Matteo racconta la sua testimonianza: l’emetofobia

Per alcuni è una semplice parola,  per altri un incubo. L’emetofobia – dal greco émetos (vomito) e  fobia (paura) – indica il terrore  del vomitare. Nonostante possa  sembrare una fobia ‘buffa’ – la  troviamo quasi sempre nella  lista delle paure più strambe – essa sprigiona in realtà effetti  estremamente negativi per chi  ne soffre. Per questo, gli  emetofobici tendono ad evitare  azioni del tutto quotidiane,  come conseguenza di questa  fobia. 

“Un emetofobico  evita di mangiare  in qualsiasi  momento per non  vomitare”. 

Ad esempio, chi ne soffre evita  di andare a mangiare fuori casa, al  ristorante, di compiere attività  sportive, di uscire con gli amici  per un semplice aperitivo o di  frequentare persone che fanno  uso di alcolici (tantomeno di  farne uso). Le donne affette da emetofobia  spesso rifiutano la possibilità di  avere un figlio per il terrore di  far fronte alle sintomatologie  legate alla gravidanza. 

Nelle situazioni più  gravi, l’emetofobico può  acquisire strategie e tecniche  volte ad evitare di mangiare a  tutti costi; comportamento che può eventualmente portare a  forme di anoressia. Matteo,  affetto da emetofobia, ci  racconta la sua esperienza. 

«Tutto è cominciato quando  frequentavo l’asilo» – dichiara  Matteo, diciassettenne della  provincia di Brescia. «Ebbi una  forte indigestione di fronte ai  miei compagni di classe che mi  causò vomito; le mie maestre  mi fecero vivere quel momento  come traumatico. Da quel  giorno, la mia vita cambiò  profondamente». 

Per Matteo, questa fobia si è  tramutata in un disturbo del  comportamento alimentare  (DCA): «il DCA di cui ho  sofferto, i cui mostruosi stralci  persistono tuttora in me, è  dovuto a questa schifezza. Ho  sofferto di anoressia non  perché odiassi il mio corpo,  bensì per evitare di vomitare.  Un emetofobico attua tutte le  strategie possibili pur di non  rimettere, tra cui, appunto, il  non-mangiare. L’emetofobia  assume dunque la forma di una  vera e propria patologia, in  quanto il suo continuo terrore  condiziona l’intera esistenza  della persona. 

“Ho tenuto questo  blocco immenso  per dieci anni,  soltanto perché di  questa fobia non  se ne parla abbastanza” 

«Soffro di emetofobia da  quando avevo quattro anni. I  primi attacchi di panico li ebbi  a quell’età: se sentivo un  rumorino sospetto nella mia  pancia, oppure quando mi  accorgevo di un malore allo  stomaco, automaticamente  scattava in me una forte ansia,  legata alla nausea, alla paura,  o meglio al terrore di  vomitare. Il vero problema è  che ho tenuto questo ‘blocco’  immenso per dieci anni, solo  perché di questa fobia non se  ne parla abbastanza. Mi  ricordo quando per evitare di  pranzare o cenare,  nascondevo il cibo in tasca, o  avvicinavo il tovagliolo in  bocca per sputare ogni singolo  boccone, per poi buttarlo nel  cestino. Purtroppo, non  riuscivo a notare quanto la  fobia mi stesse divorando: a 16 anni  pesavo 39 chilogrammi. Questa  malattia, purtroppo, non solo  debilita fisicamente, ma anche  psicologicamente e  socialmente: se sei  adolescente, fai veramente  fatica a relazionarti con gli altri,  perché quando esci con gli amici  c’è sempre il problema di  mangiare insieme. Hai difficoltà  a divertirti in generale».

Inoltre, come testimonia  Matteo, l’emetofobia viene  spesso confusa con altre  patologie: «Per questi problemi sono stato dal mio  medico di base, che mi  diagnosticò erroneamente  un’anoressia nervosa,  probabilmente perché non  conosceva la fobia. Nonostante  il medico abbia sbagliato  diagnosi, ho intrapreso un  percorso psicoterapeutico che  mi ha aiutato molto: il solo parlarne ed essere ascoltato mi hanno dato un grande aiuto. Grazie a  questo sono migliorato. Sono  riuscito a crearmi alcuni legami  di amicizia, prendendo qualche  chilo e tenendo a bada il  mostro».

Nonostante la mancanza di dati  sulle vittime di emetofobia,  Matteo è riuscito a farsi una  minima idea a riguardo, tramite  un gruppo Facebook,: «In quel  gruppo Facebook ci diamo  supporto, aiuto e condividiamo  sfoghi. Lì siamo quasi in  500, ma siamo segregati e  nascosti». Parlando sempre di  numeri, uno studio olandese ci  mostra come l’8% della  popolazione è affetta dalla  fobia. Il rapporto tra uomini e  donne è di 1 a 4: se l’1.8% di  coloro che ne soffrono è di sesso  maschile, il 7% è di sesso  femminile.  

“Ho aperto lo  scorso gennaio  una pagina  Instagram  (@emetofobia_d ca )  per informare,  aiutare e  condividere  questa fobia” 

«Nessuno ci conosce, questo è  il più grande problema. Mi  stupisco ancora che una fobia  del genere non venga  testimoniata. Quel che è certo  è che essa deve essere  assolutamente portata a galla.  Per questo motivo, lo scorso  gennaio ho aperto una pagina  Instagram  (@emetofobica_dca), per  informare, aiutare e  condividere il peso di questa  fobia tra chi ne soffre. Mi hanno già scritto  alcune persone, specialmente  ragazze, per chiedermi aiuto.  Mi ha fatto impressione  leggere delle stesse situazioni  di ansia e panico che purtroppo  io stesso ho sperimentato, che ora mi vengono rappresentate in terza  persona». 

Come ribadito da Matteo,  chiunque si trovi in questa  situazione cerchi  immediatamente aiuto, in  qualsiasi momento e senza  alcuna vergogna:  «intraprendete una cura  psicoterapeutica, fatevi aiutare  e affrontate il vostro mostro  vis-à-vis. Le terapie cognitivo comportamentali sembrano  essere particolarmente  efficaci».

Questa toccante  testimonianza ci mostra che l’emetofobia è un problema  che racchiude molti aspetti  della vita quotidiana (relazioni  affettive e sentimentali,  opportunità sociali e molto altro). Come giustamente ha ribadito  Matteo, è importante che chi ne soffre affronti tale  problema per risolverlo al più  presto, intraprendendo un  percorso psicoterapeutico.  Chiedere aiuto non è solo  lecito ma necessario. 

Di Matteo Giamundi

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