Matteo racconta la sua testimonianza: l’emetofobia
Per alcuni è una semplice parola, per altri un incubo. L’emetofobia – dal greco émetos (vomito) e fobia (paura) – indica il terrore del vomitare. Nonostante possa sembrare una fobia ‘buffa’ – la troviamo quasi sempre nella lista delle paure più strambe – essa sprigiona in realtà effetti estremamente negativi per chi ne soffre. Per questo, gli emetofobici tendono ad evitare azioni del tutto quotidiane, come conseguenza di questa fobia.
“Un emetofobico evita di mangiare in qualsiasi momento per non vomitare”.
Ad esempio, chi ne soffre evita di andare a mangiare fuori casa, al ristorante, di compiere attività sportive, di uscire con gli amici per un semplice aperitivo o di frequentare persone che fanno uso di alcolici (tantomeno di farne uso). Le donne affette da emetofobia spesso rifiutano la possibilità di avere un figlio per il terrore di far fronte alle sintomatologie legate alla gravidanza.
Nelle situazioni più gravi, l’emetofobico può acquisire strategie e tecniche volte ad evitare di mangiare a tutti costi; comportamento che può eventualmente portare a forme di anoressia. Matteo, affetto da emetofobia, ci racconta la sua esperienza.
«Tutto è cominciato quando frequentavo l’asilo» – dichiara Matteo, diciassettenne della provincia di Brescia. «Ebbi una forte indigestione di fronte ai miei compagni di classe che mi causò vomito; le mie maestre mi fecero vivere quel momento come traumatico. Da quel giorno, la mia vita cambiò profondamente».
Per Matteo, questa fobia si è tramutata in un disturbo del comportamento alimentare (DCA): «il DCA di cui ho sofferto, i cui mostruosi stralci persistono tuttora in me, è dovuto a questa schifezza. Ho sofferto di anoressia non perché odiassi il mio corpo, bensì per evitare di vomitare. Un emetofobico attua tutte le strategie possibili pur di non rimettere, tra cui, appunto, il non-mangiare. L’emetofobia assume dunque la forma di una vera e propria patologia, in quanto il suo continuo terrore condiziona l’intera esistenza della persona.
“Ho tenuto questo blocco immenso per dieci anni, soltanto perché di questa fobia non se ne parla abbastanza”
«Soffro di emetofobia da quando avevo quattro anni. I primi attacchi di panico li ebbi a quell’età: se sentivo un rumorino sospetto nella mia pancia, oppure quando mi accorgevo di un malore allo stomaco, automaticamente scattava in me una forte ansia, legata alla nausea, alla paura, o meglio al terrore di vomitare. Il vero problema è che ho tenuto questo ‘blocco’ immenso per dieci anni, solo perché di questa fobia non se ne parla abbastanza. Mi ricordo quando per evitare di pranzare o cenare, nascondevo il cibo in tasca, o avvicinavo il tovagliolo in bocca per sputare ogni singolo boccone, per poi buttarlo nel cestino. Purtroppo, non riuscivo a notare quanto la fobia mi stesse divorando: a 16 anni pesavo 39 chilogrammi. Questa malattia, purtroppo, non solo debilita fisicamente, ma anche psicologicamente e socialmente: se sei adolescente, fai veramente fatica a relazionarti con gli altri, perché quando esci con gli amici c’è sempre il problema di mangiare insieme. Hai difficoltà a divertirti in generale».
Inoltre, come testimonia Matteo, l’emetofobia viene spesso confusa con altre patologie: «Per questi problemi sono stato dal mio medico di base, che mi diagnosticò erroneamente un’anoressia nervosa, probabilmente perché non conosceva la fobia. Nonostante il medico abbia sbagliato diagnosi, ho intrapreso un percorso psicoterapeutico che mi ha aiutato molto: il solo parlarne ed essere ascoltato mi hanno dato un grande aiuto. Grazie a questo sono migliorato. Sono riuscito a crearmi alcuni legami di amicizia, prendendo qualche chilo e tenendo a bada il mostro».
Nonostante la mancanza di dati sulle vittime di emetofobia, Matteo è riuscito a farsi una minima idea a riguardo, tramite un gruppo Facebook,: «In quel gruppo Facebook ci diamo supporto, aiuto e condividiamo sfoghi. Lì siamo quasi in 500, ma siamo segregati e nascosti». Parlando sempre di numeri, uno studio olandese ci mostra come l’8% della popolazione è affetta dalla fobia. Il rapporto tra uomini e donne è di 1 a 4: se l’1.8% di coloro che ne soffrono è di sesso maschile, il 7% è di sesso femminile.
“Ho aperto lo scorso gennaio una pagina Instagram (@emetofobia_d ca ) per informare, aiutare e condividere questa fobia”
«Nessuno ci conosce, questo è il più grande problema. Mi stupisco ancora che una fobia del genere non venga testimoniata. Quel che è certo è che essa deve essere assolutamente portata a galla. Per questo motivo, lo scorso gennaio ho aperto una pagina Instagram (@emetofobica_dca), per informare, aiutare e condividere il peso di questa fobia tra chi ne soffre. Mi hanno già scritto alcune persone, specialmente ragazze, per chiedermi aiuto. Mi ha fatto impressione leggere delle stesse situazioni di ansia e panico che purtroppo io stesso ho sperimentato, che ora mi vengono rappresentate in terza persona».
Come ribadito da Matteo, chiunque si trovi in questa situazione cerchi immediatamente aiuto, in qualsiasi momento e senza alcuna vergogna: «intraprendete una cura psicoterapeutica, fatevi aiutare e affrontate il vostro mostro vis-à-vis. Le terapie cognitivo comportamentali sembrano essere particolarmente efficaci».
Questa toccante testimonianza ci mostra che l’emetofobia è un problema che racchiude molti aspetti della vita quotidiana (relazioni affettive e sentimentali, opportunità sociali e molto altro). Come giustamente ha ribadito Matteo, è importante che chi ne soffre affronti tale problema per risolverlo al più presto, intraprendendo un percorso psicoterapeutico. Chiedere aiuto non è solo lecito ma necessario.
Di Matteo Giamundi