“Adesso è tempo di neet”

“Adesso è tempo di neet”

“Adesso è tempo di neet”

19 Luglio 2019

Neet. Chi sono?

L’articolo NEET, pubblicato su Bresciagiovani nel 2017, spiegava che si tratta di “una categoria, un indicatore statistico“.

Ma, come dice Ernesto, nell’intervista Vita da neet: Ho smesso di guardare al futuro: “le statistiche non sanno niente di me e di mio padre, della nostra famiglia”.

Per capire dunque qualcosa in più, o per farci domande nuove, nell’articolo di oggi chiediamo aiuto alla letteratura, al teatro e alla nona arte.

Letteratura

Il titolo che abbiamo scelto “Adesso è tempo di neet” è una citazione da una recensione di Serena Dandini al romanzo d’esordio Confessioni di un neet di Sandro Frizziero.

Scrive Serena Dandini: “Come sottolineava Aldo Nove [scrittore e poeta] parlando della gioventù cannibale: «…non riesco a pensare a noi come a dei perdenti. Piuttosto solo sfortunati, nati in una congiuntura storica sbagliata». Questa discesa agli inferi generazionale a ogni nuovo giro si arricchisce di definizioni coniate ad hoc per l’occasione. Adesso è tempo di neet: in pratica, persone che a forza di non trovare lavoro non lo cercano più né, tantomeno, continuano a studiare o a occuparsi di qualcosa che sia in relazione con la società in cui vivono. Se volete saperne di più di questa nuova categoria sociale, sospesa come una nuvola al di fuori degli orizzonti conosciuti, è appena uscito per Fazi Confessioni di un neet di Sandro Frizziero, un romanzo-non-romanzo, come si usa adesso, che ci mostra l’immobilità di una vita volutamente spesa tra gli schermi di tablet, smartphone e computer, tutta rinchiusa in una cameretta insonorizzata di dodicimetri quadri”.

Prima di proseguire, leggiamo qualche pagina del romanzo in anteprima.

L’autore, Sandro Frizziero, ha insegnato 3 anni nelle scuole serali, “tra i neet pentiti, giovani tra i 25 e i 30 anni che si erano esclusi dalla società”, e ha ascoltato le loro storie e ha capito che “è una condizione trasversale, è difficile generalizzare”.

Dice in un’intervista: “Quella dei neet è una categoria eterogenea che comprende esperienze e ambizioni e aspirazioni diversissime. Un giovane laureato che, dopo più tirocini ha perso la speranza di raggiungere una stabilità professionale, certamente percepisce la sua situazione in maniera differente da chi, uscito precocemente dalla scuola, alterna più o meno lunghi periodi di inattività a qualche lavoretto malpagato”.

E ripete, in un’altra intervista: “Sono storie diversissime, tanto che io non credo che i neet abbiano pienamente coscienza di esserlo. Se chiedessimo a un neet se fa parte di questa categoria, probabilmente risponderebbe che non lo sa, che magari qualche curriculum lo manda… Dunque, mi verrebbe da rispondere che non c’è possibilità di un racconto unitario; d’altra parte però è vero che condividono un destino comune, sicuramente del disagio, di una sofferenza interiore – perché non credo che, nonostante quello che ci viene detto sui bamboccioni, chi è in queste condizioni ci stia volentieri”.

E, come diceva, Ernesto: “Chi si trova in questo stato vive un dramma che coinvolge intere famiglie“.

Del neet personaggio del romanzo, Sandro Frizziero dice: “è antipatico, misantropo, fatalista, nichilista; sembra che la situazione difficile di cui è vittima sia in gran parte il risultato delle sue scelte […] Mi piacerebbe che questo personaggio facesse nascere, più che un senso di empatia, alcuni dubbi […] ciò che vedo parlando con molti giovani è che sempre più alcune logiche di sfruttamento vengono accettate come se fossero normali, pienamente giustificabili nell’ottica del guadagno […] Bisognerebbe recuperare il ruolo sociale del lavoro”.

Puoi ascoltare Frizziero nel podcast di Radio 1 Generazione Neet (2018).

Insieme a lui Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis, che ha detto “i giovani hanno sperimentato negli ultimi 10 anni in prima persona il blocco dei meccanismi dell’ascesa sociale (il blocco della mobilità sociale), questo li ha scoraggiati nell’investire su se stessi nei percorsi di formazione”.

Nel suo intervento Alessandro Rosina, professore di Demografia e statistica sociale all’Università statale di Milano, prova invece a dire perché il programma del Governo per combattere la disoccupazione giovanile Garanzia Giovani “si è rivelato un mezzo fallimento”: “in parte si è aspettato che i giovani si rivolgessero a Garanzia Giovani, e non si è andati a cercarli sul territorio dove loro si trovavano, e quindi ci si è persa soprattutto la parte degli scoraggiati, di quelli che avrebbero avuto più bisogno di essere attivati […] non sono stati usati quei canali sul territorio o sui social media che potevano raggiungere i giovani che ne avevano effettivamente bisogno, quindi è riuscita a intercettare solo una parte dei neet, e anche la parte di quelli più dinamici, più qualificati, mentre quelli che rischiano effettivamente di cronicizzare la propria condizione, di diventare un costo sociale permanente sono quelli rimasti non raggiunti”.

Alla domande che costi ha la generazione neet e di cosa ha bisogno, Rosina risponde: “Questo potenziale umano ha costi sociali, costi economici, costi in termini di risorse non utlizzate per fare crescere il Paese e produrre sviluppo e ha costi individuali perché più si rimane nella condizione di neet, inattivi, e scivolando ai margini, più si genera una situazione di frustrazione, di risentimento sociale e poi rende anche più difficile la possibilità di essere riattivati successivamente […] questa generazione dispersa ha bisogno che il Paese dimostri che investe su di essa e che crede e dà fiducia come risorsa principale per far tornare il Paese a crescere”.

Fumetti

Nell’articolo Fumetti in una stanza. Hikikomori e NEET nella nona arte (2018) Simone Marchisano analizza come i fumetti raccontano il “rinchiudersi in sé stessi e in claustrofobiche stanze private, fisiche come mentali” di hikikomori e neet.

Marchisano cita manga come Welcome to the NHK (in origine un romanzo di Tatsuhiko Takimoto) disegnato da Kendi Oiwa, Mēteru no kimochi (La mia Maetel) di Hiroya Oku e le opere di Asano Inio (pubblicati tra il 2004 e il 2015).

In Italia, Habitat (2015) di Raffaele Sorrentino e la striscia settimanale Neet Kidz di Zerocalcare pubblicata su Internazionale dal 2012 al 2014 “affrontano in modo complesso il delicato rapporto tra spazio domestico chiuso, crisi economica e giovani precari”.

E Zerocalcare, insieme a 7 autori provenienti dalle scene undergound, firma anche l’antologia di storie a fumetti Rabbia (2016).

“A distanza di 20 anni [dall’antologia cult Gioventù cannibale], La rabbia è una citazione (a fumetti, però) di quella riuscita operazione. Gli autori […] sono nati tra il 1978 e il 1992, anni in cui l’Italia covava la crisi che ha cancellato ogni idea di futuro […] La loro non è la rabbia di chi ha perso la partita, ma quella di chi non ha nemmeno potuto giocarla. La rabbia di chi non ha trovato un posto in questo mondo. Non solo: se una volta la rabbia era un sentimento collettivo, di azione politica, oggi che il mondo la umilia si trasforma in confessione, in diario quotidiano – minimalista, tragico o surreale – dove la posta in gioco è l’identità di un’intera generazione”.

In un’intervista Zerocalcare dice: “Questa è una generazione che nella maggior parte dei casi non riesce a fare il lavoro per cui ha studiato […] Questa è una generazione generosa, che si è dannata l’anima per trovare un posto nel mondo e ha visto tradite le sue aspettative”.

In Giappone, come il protagonista del romanzo Confessioni di un neet, Sato, il protagonista di Welcome to the NHK, “sembra essere tutt’altro che positivo (anzi, sembra proprio non avere alcun lato buono): è codardo, accidioso, egoista, paranoico […] A tratti sembra intenzionato a cambiare, ma sono più le volte che si arrende rispetto a quelle dove riesce a fare davvero qualcosa. Pur di togliersi la responsabilità psicologica di quanto gli accade, arriva a fantasticare che la sua condizione sia l’esito di un complotto di un’organizzazione segreta […] però difficile non riuscire a immedesimarsi […] la sua umanità è sempre tangibile. Troppo mediocre per essere davvero buono o davvero cattivo, Sato è uno specchio deformante che ci ricorda continuamente i nostri difetti e le nostre debolezze“.

L’Associazione Hikikomori Italia traduce così uno scritto dell’autore Tatsuhiko Takimoto: “C’è però una cosa che volevo assolutamente scrivere e che non ho scritto: anche se una persona si trova nella situazione descritta in Welcome to the NHK, c’è sempre una via d’uscita […] Quello di cui volevo scrivere, non è la debolezza degli uomini. Anche nel labirinto di un cuore confuso, per quanto una persona possa essere senza energia e sentirsi debole, alla fine troverà una via d’uscita e ritroverà se stessa”.

Teatro

La Fondazione TeatroDue di Parma ha prodotto nel 2014 lo spettacolo Hikikomori. Metamorfosi di una generazione in silenzio di Holger Schober per la regia Vincenzo Picone:

“un protagonista esemplare di questa generazione, che in Europa, in parte, è individuata dalla definizione neet: nel chiuso asfittico della propria stanza, come in un nido/prigione, H. il protagonista, come molti ragazzi suoi coetanei, si abbandona alla non-azione perpetua; l’unico trait d’union con il mondo esterno, negato e rifiutato, è internet, in cui ricostruire le relazioni e far vivere il proprio alter-ego […] Il rinnegare il mondo esterno chiudendosi nel buio di una stanza diventa un atto estremo di resistenza attraverso l’unica arma rimasta a disposizione, il proprio corpo […] H. non appare come un semplice disadattato, un malato, un depresso; è invece sorprendentemente lucido, e il suo gesto rivoluzionario, pregnante ne fa un eremita contemporaneo. Come tanti adolescenti H. è preda del dubbio e della rabbia, ma diversamente da molti altri è consapevole, sceglie una condizione e un punto di vista diversi, con una determinazione fortissima”.

A seguire ha organizzato momenti pubblici di riflessione intitolati Hikikomori e neet: un incontro/confronto sui due fenomeni con “professionisti del sociale che lavorano a stretto contatto con i ragazzi”, Vincenza Pellegrino, antropologa e sociologa dell’Università degli Studi di Parma e Giulia Sagliocco, psicoterapeuta dell’AUSL di Napoli.

Vincenza Pellegrino ha parlato di “una fragilità individuale esasperata da un investimento su di loro che non trova riscontro poi nel mondo. Una sorta di malattia per la delusione, in cui il ragazzo si trova a passare da una ipernutrizione a un affamamento” e Giulia Sagliocco del fatto che “molti famigliari dei ragazzi che si autorecludono il computer possa essere la causa di questa sofferenza, ma in realtà le ragioni sono molto più profonde; per il terapeuta poi il computer è una finestra, uno strumento, un’arma di dialogo con loro”.

La Fondazione TeatroDue di Parma ha prodotto anche uno spettacolo da mettere in scena direttamente nelle aule scolastiche, durante l’orario di lezione e a cui far seguire una discussione tra attori e studenti.

Si intitola Prof cosa vuol dire essere vivi?  e nasce dalla “convinzione che un’idea possibile di cambiamento dello stato di cose che ci circondano possa partire e maturare all’interno dell’adolescenza; proprio quell’adolescenza che, se da una parte si configura come motore possibile della società, dall’altra è vista come una cartina tornasole dei tempi liquidi, privi di punti di riferimento e in preda a svariate forme di pessimismi sociali e atteggiamenti di rifiuto della realtà e di chiusura da questa (neet, hikikomori…)”.

Al Teatro Stabile di Torino nel 2018 è andato in scena Blatte scritto da Michelangelo Zeno e diretto da Girolamo Lucania.

Lo spettacolo, liberamente ispirato alla graphic novel Blatta di Alberto Ponticelli, racconta di chi sceglie di “ritirarsi dalla competizione della vita”.

Il regista Girolamo Lucania dice: “Carla Ricci, una studiosa del fenomeno che vive a Tokyo, descrive gli hikikomori come corpi sovversivi, inconsapevoli. Ossia, attuatori di una rivoluzione di cui non si rendono conto. La pressione sociale che vivono le nuove generazioni, la perdita totale di punti di riferimento, unita a una libertà pressoché assoluta e allo stesso tempo alle infinite possibilità del mondo virtuale, creano di fatto un grande senso di inadeguatezza […] credo che le nuove generazioni vivano un processo di crescita in cui non si sentono parte di nulla, non fanno parte di alcun progetto. Quindi il rischio di annichilimento culturale e sociale diventa sempre più forte. Ma c’è da dire che la storia dell’uomo parla di continue rinascite“.

Informazioni

Le statistiche dell’Unione europea sui giovani non occupate né in materia di istruzione o formazione Statistics on young people neither in employment nor in education or training (Eurostat, aprile 2019) danno alcuni dati sulla transizione dall’istruzione al lavoro e sui giovani che si trovano disimpegnati sia dall’istruzione sia dal mercato del lavoro.

Per esempio, nel 2018, tra le persone dai 20 ai 34 anni con un livello di istruzione intermedio i neet variano dal 6,9% di Malta e dei Paesi Bassi a un picco del 25,4% in Italia. Insieme alla Grecia, l’Italia ha registrato le percentuali più alte di neet.

Videogiochi sì, videogiochi no? Al prossimo articolo.

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Photo by Corrado Francolini